Dr. Martens AirWair è un marchio inglese, il cui debutto risale ai primi anni ‘60 nel distretto di Northampton in Inghilterra. Nate come scarpe pensate per militari e lavoratori, erano inizialmente vendute alla modica cifra di 2£.

Il boom economico in concomitanza con la comparsa delle culture giovanili a Londra e la crisi sociale dovuta alla Lady di Ferro, rappresentano una serie di eventi fortunati che hanno portato quel paio di anfibi ad essere indossati non solo dagli adulti, ma da tutti quei giovani che sentivano il bisogno di esprimere la propria rabbia nei confronti del sistema. Una rabbia adolescenziale che si è trasmessa di generazione in generazione, da quelle più scapestrate e skinhead a quelle grunge, fino a raggiungere i piedi del Papa ed infine degli indie rockers. La rabbia si è man mano attenuata lasciando spazio, col tempo, alla necessità di esprimere la propria personalità su scala globale. E la necessità di superare quel senso di solitudine tramite un codice vestimentario basato sull’individualità svela, inoltre, l’ingrediente segreto per trasformare un’icona del punk nel suo stesso avversario.

Ricordo ancora la prima volta che ho capito cosa fossero le Dr. Martens. Ero intenta a preparare il mio primo esame universitario in Sociologia della Moda, quando il loro nome appare, proiettandole nella mia testa come un paio di anfibi magici, appartenenti alla cultura ribelle, all’underground giovanile degli anni 70.

Per me, come per tanti altri nati nei 90, non potevano catapultarmi a Londra con spille e pantaloni strappati, ma fanno parte di un ricordo in cui la Guerra degli Antò, il Forte Prenestino e le collette per il vino a 2,99€ , ci facevano sentire si squattrinate, ma diverse. Diverse da quelle che le indossavano accostate a una Louis Vuitton, senza avere idea di chi fossero i Sex Pistols. Non che ora, dopo il boom hipsterico che le vede ai piedi di chiunque, non mi si arricci il naso come Alvaro, ma sono cresciuta per fare critica adolescenziale, e aperta a un altro tipo di riflessione.

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Dal 2013 il brand è finito nel fondo di private equity europeo Permira, che ha dichiarato l’intento di espandere e potenziare la propria presenza in più mercati, attirare un maggior numero di consumatori e guadagnare l’etichetta di marchio di lusso. In un mondo dove milioni di giovani condividono gli stessi gusti in più di 25 paesi, non è un caso che dopo il video di Mley Cyrus “Wrecking ball” e le collaborazioni con stilisti internazionali come Vivienne Westwood o Gaultier ci sia stata un’impennata delle vendite ed un conseguente rialzo dei prezzi del prodotto. Il cambio di rotta però non ha voluto abbandonare la tradizione artigianale e il metodo Goodyear Welt, stendardo della cultura britannica, in particolar modo per quanto riguarda le scarpe da uomo. Almeno così sembra.

Dopo una serie di ricerche più approfondite, leggo che dal 2002 l’azienda, in seguito alla crisi economica e manageriale, ha deciso di fare i bagagli e spostare gran parte della produzione in Oriente (Cina e Tailandia) per ovvie ragioni di risparmio, preferendo l’outsourcing come strategia aziendale, anche se questa scelta ha significato il licenziamento di un migliaio di dipendenti in Inghilterra. Oggi, nella storica fabbrica di Cobb’s lane si produce ancora una piccola quantità di scarpe, mentre il restante spazio è stato destinato agli uffici generali e agli uffici stile, una “vetrina” in cui il Dr Martens way of life si amalgama con addirittura la tappezzeria e i capelli super colorati e scombinati dei dipendenti, che danno un’idea fresca, giovanile e cool, ma soprattutto british.

In Asia, mi chiedo, sarà lo stesso?
Sul web non ci sono molte notizie riguardanti le fabbriche in Cina, se non quelle legate alle collezioni limitate per Hello Kitty e Pokemon. Ve lo immaginereste uno skin con ai piedi delle carinissime Doc’s rosa? Probabilmente no, e questo perché l’azienda ha capito di giocare su due campi ben distinti.38a3ace100000578-0-skinheads_performing_nazi_salutes_-a-123_1474460586413

Se in Europa si promuove (o impone?) ancora la cultura britannica tra i giovani, sottolineando apertamente i valori della tradizione, artigianato ed originalità, in Asia è tutta un’altra storia. Con circa 50 stores aperti in Giappone, rispetto a quelli in Europa, meno di 10, gli anfibi rock seducono e conquistano una cultura diversa dalla nostra, mantenendo i due mondi lontani ideologicamente, ma vicinissimi per quanto riguarda i luoghi di produzione delle scarpe. Ed ecco come il Made in England tanto osannato comincia a non essere più così ovvio.

Il team che opera dietro le quinte, è inoltre attivo e presente su vari social network, come Facebook, Instagram, Pinterest, Twitter. Per un brand che voglia giocare su larga scala, è strettamente necessario rinnovarsi il più velocemente possibile ed ampliare la propria rete di contatti. In questo, Dr Martens fa di più. Grazie a campagne come #STANDFORSOMETHING o #FIRSTANDFOREVER, il brand non solo apre la comunicazione ai propri consumatori, ma li coinvolge e li invita a far parte della community, in cui ognuno è un testimonial, in cui tutti pubblicano idee, e dove la street art prevale sulle campagne pubblicitarie. Se da un lato questa è un’iniziativa frizzante e originale, dall’altro è una straordinaria tattica che aiuta la compagnia a risparmiare i costi di pubblicità e a creare un’illusione collettiva che si fonda sul senso di unicità e condivisione.
Il vice Presidente per il Marketing, Kimberly Barta, ha dichiarato che adesso il brand non mira a un target specifico. La democratizzazione del prodotto diventa una scorciatoia per raggiungere diverse fasce di consumatori. In effetti, possiamo indossarle con qualsiasi capo di abbigliamento, in tutti i periodi dell’anno e in ogni contesto. Più che scarpe alla moda, sono diventate un must da tenere assolutamente in cima alla scarpiera.
Le Dr Martens sono democratiche e contemporanee e, oggi, anche vegane e genderless. Certo, il brand è felice di abbracciare nuove filosofie di vita, ma è anche vero che l’anfibio nero si produce nello stesso modo da più di mezzo secolo, e il vantaggio di non differenziare la produzione a favore di un prodotto unisex, caratterizza un risparmio da non sottovalutare. D’altra parte, le Doc’s Vegan mi lasciano un po’ interdetta, dal momento che nella fabbrica di Cobb’s lane è esposta una foto che descrive le fasi di vita di una mucca fino a che diventi una scarpa.

Più di una volta in questi ultimi 5 anni, la mia ossessione per le Doc’s è diventata occasione per parlarne con chiunque, dalla mamma del mio ragazzo che ne ha un paio da quasi vent’anni, e le mie amiche, alcune un po’ deluse perché non così resistenti come gliele avevo descritte. Com’è possibile? Nonostante sul sito delle Martens sia sottolineato che i processi di produzione sono identici in Asia e a Northampton, nessuno ci fornisce informazioni sui materiali e sul pellame che viene utilizzato. Anzi, molti sono i fashion blogger che non si limitano a fotografarsi con il prodotto, ma che cercano di dimostrare nel dettaglio quanto siano evidenti le diversità delle scarpe prodotte in Inghilterra da quelle asiatiche.

“I am all lost in the supermarket, I can no longer shop happily”

tanto per citare i Clash. Nel supermercato degli stili, un paio di Dr Martens costa intorno ai 130€. Ma nell’eterno dubbio se dopo averle prese, mi sentirò come Nancy o Hannah Montana, mi viene da chiedermi: ne vale la pena?